Tecnologia, capacità predittiva e incremento delle competenze garantiranno la competitività delle nostre imprese

Dopo un lungo e atteso percorso di preparazione, oggi ha debuttato con successo il primo LEF Operations Summit: quasi un centinaio le persone presenti in LEF e altrettante collegate da remoto per seguire la diretta streaming dell’evento chiave di chi opera in ambito manifatturiero e operations. Al microfono si sono susseguiti ospiti illustri e rappresentanti di grandi aziende internazionali, che hanno egregiamente risposto all’invito del padrone di casa Marco Olivotto a offrire spunti utili e concreti “take away” da applicare subito nel proprio contesto aziendale quotidiano. Sono due i principali fattori che traineranno la competitività futura delle imprese: la presenza sistemica della tecnologia nei processi industriali e il costante, parallelo incremento delle competenze del capitale umano. Questa la sintesi estrema dei contenuti sviluppati al LEF Operations Summit 2022, prima tappa di un percorso di analisi e previsione al quale hanno partecipato aziende con una produzione complessiva superiore ai 10 miliardi di euro e che nel 2023 riunirà periodicamente players internazionali e manager di enti pubblici e privati. Un incontro moderato dal vicedirettore del Sole 24 Ore Alberto Orioli in cui è emersa la necessità, nel virtuoso intreccio tra intuizione dei singoli, elaborazione di big data e intelligenza artificiale, «di comprendere quanto più possibile il futuro per restare competitivi sul mercato e per evitare, lungo la propria strada, di incontrare uno o più cigni neri».

«Dal Dopoguerra agli anni Settanta – ha spiegato al proposito il Presidente di Confindustria Alto Adriatico e LEF, Michelangelo Agrusti le grandi classi dirigenti della politica hanno costruito quella che oggi è la seconda potenza manifatturiera europea, settima al mondo. Ebbene, quell’Italia lì, quella con l’intelligenza predittiva, la stessa che ci ha fatti diventare un Paese industriale anche se le industrie non c’erano, dove è nata una delle più grandi imprese petrolifere pur non essendoci petrolio nel sottosuolo, che ha costruito le centrali nucleari e la più grande rete autostradale d’Europa, si è fermata lì. Ecco perché guardo con estrema attenzione ai player di Stato di grandissimo livello, allo Stato imprenditore. Questo sistema misto pubblico-privato ce lo terremo ancora per un po’, per fortuna».

A testimoniare l’importanza della vision di lungo periodo, il contributo del colonnello Claudio Icardi, capo dell’Ufficio Innovazione della Difesa, un settore dove i tempi dell’innovazione, di quindici o vent’anni, sono molto più lunghi rispetto al mercato civile, «dove è necessario compiere scelte corrette anticipanti i fenomeni, una capacità che si ottiene con un aggiornamento continuo delle competenze finalizzato anche ad addestrarsi alle complessità e a sviluppare differenti modalità di approccio con l’incertezza».

Tradotto in prosa significa essere resilienti e proprio su questo punto Roberto Migliorini, partner McKinsey & Company dell’ufficio di Londra, ha evidenziato che «volatilità e shock di mercato si verificano con sempre maggiore frequenza e ciò rende necessario per le aziende il rafforzamento della propria resilienza». Migliorini ha spiegato che «analisi McKinsey dimostrano non solo che le aziende più resilienti risentono meno delle crisi, ma possono anche recuperare e crescere più velocemente. Trasformare un’azienda per renderla più resiliente richiede un intervento articolato in sei categorie: resilienza digitale e tecnologica, allineamento del brand, della reputazione e dei principi ESG, modello di business e capacità di innovazione, resilienza organizzativa, resilienza finanziaria e pricing e resilienza operativa. Quest’ultima – ha aggiunto – può essere raggiunta attraverso percorsi di formazione pratica mirata, che aumentino il coinvolgimento dei partecipanti e il grado di assorbimento delle nuove competenze apprese. Un esempio di programma su larga scala che ha permesso di migliorare la resilienza dell’organizzazione ha coinvolto più di 3 mila dipendenti e ha affrontato vari temi relativi alla trasformazione digitale delle operazioni di produzione».

Altrettanto analitica Luisella Giani, EMEA Head of Industry Transformation Oracle, secondo la quale, «è importante riuscire a sfruttare questo segmento storico come momento di crescita e di riformulazione strategica a lungo termine per essere azienda vincente non tanto e non solo nel breve ma nel lungo periodo. In questo senso la tecnologia ci aiuta ad individuare i gap interni e coi competitors». E anche parte dell’incremento del tasso di reshoring – rientro di aziende o linee delocalizzate all’estero, è sempre della tecnologia: «Se si rientra in patria o in zone limitrofe dipende da alcuni fattori chiave, tra cui le migliori skills su machine learning, analisi dei dati ed esigenza di vicinanza/controllo che hanno aumentato il vantaggio competitivo del nostro sistema Paese o dell’Europa per chi aveva delle company in estremo oriente». Tendenza che ha trovato conferma nella relazione di Ciro Rapacciuolo, Responsabile dell’area Congiuntura e Previsioni – Centro Studi Confindustria secondo il quale «il 45% circa delle imprese sta pensando alla rilocalizzazione di tutta o di una parte della produzione estera».

Soddisfazione per il meeting è stata espressa dal sindaco di San Vito al Tagliamento, comune in cui ha sede LEF, per un evento molto importante e di assoluto livello.

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