Una delle priorità di Confindustria Alto Adriatico e LEF è quella di accompagnare le aziende del territorio, in particolare aziende manifatturiere, nel percorso di trasformazione digitale. Una tematica che incrocia l’attualità poiché consente di evitare sprechi e di abbattere conseguentemente i costi dell’intera catena del valore: dagli acquisti, compreso l’acquisto dell’energia che in questo momento è particolarmente critico, ai processi di vendita e post vendita.
La necessità di essere sempre più efficaci nelle proposte ha stimolato la veicolazione di un questionario sulla reale quota di utilizzo degli incentivi tra le imprese e le modalità con cui gli imprenditori hanno intrapreso il percorso della digital trasformation.
All’indagine hanno risposto in prevalenza PMI, ovvero imprese sotto i 50 mln di euro di fatturato ed i 250 dipendenti. Il primo elemento che balza agli occhi dall’analisi dei dati è che il 56% delle aziende, poco più della metà quindi, ha sin qui beneficiato delle agevolazioni di “Industria 4.0” dal 2017 ad oggi. Tra di esse il 62% dichiara, pur in presenza di modifiche ancora parziali, un cambio nell’organizzazione e nelle modalità di lavoro mentre il 27% ha ammesso l’assenza di modifiche sostanziali. Solamente una piccola parte, pari all’11% dichiara di aver avuto una completa trasformazione digitale.
Tra le ragioni addotte dagli imprenditori in tema di mancato accesso a iper/super ammortamento e/o credito di imposta, figurano l’assenza di investimenti in tecnologia (46%) o in macchinari (35%), il fatto di non essere a conoscenza degli incentivi (14%) o la troppa burocrazia (5%). Più in generale, però, il 56% delle imprese vede con favore gli investimenti in tecnologia di cui sono già in grado di quantificare i margini di miglioramento. Che potranno essere consistenti (23%), abbastanza consistenti (34%), percepibili (41%) e non percepibili (1%).
Se esistano o meno in azienda le competenze per cogliere i benefici della digitalizzazione, solo il 32% ha risposto positivamente, mentre la maggior parte delle aziende ritiene che siano in parte presenti ma servirebbero maggiori competenze specifiche manageriali e tecniche, oppure che è necessario un forte percorso di crescita e formazione.
Secondo il Presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, gli esiti del questionario indicano che «molta strada è stata fatta, ciò nonostante, ci attende ancora parecchio lavoro: da un lato – ha detto – per stimolare le imprese a serrare i tempi della trasformazione digitale, dall’altro per garantire adeguata competenza tecnica e manageriale a chi, pur in presenza di effettivi cambiamenti sostanziali, non riesce ancora a beneficiare di tutti o parte dei vantaggi. Colmare il primo aspetto – informativo e di stimolo alla digitalizzazione – è un compito che Confindustria Alto Adriatico, Polo Tecnologico Alto Adriatico e LEF, sinergicamente, si sono dati tra le priorità e perseguono quotidianamente. La formazione, dentro e fuori le aziende, è invece garantita dagli ITS e da LEF, l’azienda digitale modello che fornisce alle aziende manifatturiere e di servizi le competenze per raggiungere l’eccellenza operativa e realizzare con successo la trasformazione digitale».
Per Massimiliano Ciarrocchi, Direttore generale di Confindustria Alto Adriatico, «il nostro compito è quello di affiancare quel 44% che deve ancora affacciarsi alla digitalizzazione, perché ne va della loro stessa esistenza, ma anche di continuare ad occuparsi del 56%, assistendo quelle imprese nella continua evoluzione della frontiera digitale. Il sistema Alto Adriatico ha al suo interno le eccellenze necessarie a svolgere questo compito e, soprattutto, può far sì che quel 56% funga da faro per chi è ancora refrattario al cambiamento».
Più articolata l’analisi di Marco Olivotto, Direttore generale di LEF: «Dati in linea con quelli nazionali: se prendiamo a riferimento l’European Innovation Scoreboard Index 2022 – che valuta il livello di innovazione basata su una serie di fattori (infrastrutture, investimenti in R&D, innovazione di prodotto e di processo, skills dei dipendenti, impatti su crescita e sostenibilità ambientale) – l’Italia, pur essendo la terza economia dell’area euro, si posiziona al quindicesimo posto per performance. I punti deboli riguardano gli investimenti in innovazione di prodotto e processo ancora contenuti e la carenza di personale con skill su innovazione e digital. Nel manifatturiero, in particolare, assistiamo al fenomeno della cosiddetta “valle della morte” delle sperimentazioni: la maggior parte delle aziende che ha investito in Industria 4.0 ha intrapreso azioni concrete volte a trovare delle soluzioni per creare benefici reali e del valore aggiunto per le proprie organizzazioni, quali ad esempio controllo della qualità di prodotto/processo grazie a sensori ed AI, prodotti interconnessi o digitalizzazione ed automazione del rapporto con i clienti, incrementare l’efficienza della forza lavoro grazie a tecnologie abilitanti, fabbriche e plant intelligenti; solo una piccola parte di queste iniziative e sperimentazioni, però, è stata trasferita ad una fase industriale e viene normalmente utilizzata nella gestione e conduzione delle aziende. Le motivazioni sono riconducibili a sfide e rischi quali la sicurezza informatica, la complessità tecnica e le risorse necessarie a standardizzare ed industrializzare una soluzione ed una non sempre chiara valutazione del ritorno sull’investimento».